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DELLAMORTE DELLAMORE

Michele Soavi
1994  Italia Francia  105'
Interpreti: Rupert Everett, François Hadji-Lazaro, Anna Falchi, Mickey Knox, Anton Alexander

DAVID DI DONATELLO 1994 (Italia) – Miglior Scenografia, FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM FANTASTICO DI GéRARDMER 1995 (Francia) – Premio della Giuria

Sceneggiatura Tiziano Sclavi, Gianni Romoli
Produttore Gianni Romoli, Michele Soavi, Heinz Bibo, Tilde Corsi
Fotografia Mauro Marchetti
Montaggio Franco Fraticelli
Musiche Riccardo Biseo, Manuel De Sica
Produzione Audifilm, Urania Film
Distribuzione Medusa

Nella piccola cittadina di Buffalora, Francesco Dellamorte è il guardiano del cimitero locale insieme all’amico e compagno Gnaghi, buffo ometto incapace di esprimersi a parole. Il cimitero però è soggetto ad uno strano fenomeno: i morti, chiamati da Francesco i “Ritornanti” sembrano resuscitare sette giorni dopo essere stati seppelliti. I due amici, costretti ad intervenire, hanno così il compito di uccidere nuovamente i “Ritornanti” e non farli scappare dal cimitero, seppellendoli di nuovo. Durante una ronda però, Dellamorte finisce per uccidere l’unica donna che abbia mai amato, una vedova conosciuta durante il funerale del marito. I dubbi e le incertezze causate da questo avvenimento invaderanno la mente del giovane e tenebroso guardiano che cadrà in un tunnel di morte (e amore) fino a rendersi conto di non poter fuggire dalla propria condizione.


Michele Soavi (1957)

In un'Italia che non contemplava particolarmente le pellicole horror, caotico e spettacolare, Michele Soavi è emerso, intriso delle lezioni di cinema dei più grandi e leggendari autori italiani di serie B. Spesso di rozza fattura, a volte senza ritmo e senza misura, è assolutamente truculento e accompagna lo spettatore in un mondo racchiuso in un cimitero, con qualche guizzo di cuore provocato dal terrore crescente e dalle apparizioni di un maniaco assassino che, remore degli insegnamenti dello slasher movie americano, brandisce un coltellaccio pronto a fare tutti fuori. Con un uso acrobatico della cinepresa, dissemina nelle sue storie umorismo e sangue. Dopo aver affiancato i suoi maestri - fra tutti Dario Argento e Lamberto Bava - e una volta acquistati i codici del loro cinema allucinatorio, si mette da parte dirigendo attori in fiction che lo hanno portato a una rinascita artistica.

Particolarmente creativo, durante gli anni da teenager capisce che la strada del cinema è quella che fa per lui. Così, dopo il diploma, segue le lezioni di recitazione nella scuola Alessandro Fersen. Dopo i primi tentativi di regia - il cortometraggio “The Valley” (1985) con Jennifer Connelly, Fiore e Dario Argento, e il documentario “Il mondo dell'orrore” di Dario Argento (1985) - debutta come regista nella pellicola “Deliria” (1987) con Barbara Cupisti, Giovanni Lombardo Radice e Piero Vida, cui seguiranno diversi film d'orrore sempre con gli stessi interpreti, fra i quali spicca, tratto dall'omonimo romanzo di Tiziano Sclavi (autore di Dylan Dog) “Dellamorte Dellamore” (1994) con Rupert Everett.

Fra il 1995 e il 1998, Soavi dirige numerose campagne pubblicitarie per Perugina, Seat, Infostrada e Viasat, tornando alla carica non con i film horror, ma con le fiction televisive, che avranno come protagonista principale l'attore Raoul Bova. A Soavi è affidata, infatti, la regia di “Ultimo 2 - La sfida” (1999) e il suo seguito “Ultimo 3 - L'infiltrato” (2004), ma anche de “Il testimone” (2001), dell'agiografico “Francesco” (2002), di “Attacco allo Stato” (2006) e “Nassiryia - Per non dimenticare” (2007), ma anche di “Uno bianca” (2001) e “Ultima pallottola” (2003).

Il ritorno al grande schermo avviene invece con la pellicola sugli anni di piombo “Arrivederci amore, ciao” (2006) dove Soavi dirige con maestria Alessio Boni, Isabella Ferrari, Michele Placido e Carlo Cecchi nel tutt'altro che romantico e ribellistico valzer della lotta armata e dei crimini del terrorismo, raccontando la peggiore generazione degli anni Settanta attraverso la storia di un latitante di sinistra che torna in Italia, dopo una condanna all'ergastolo. Michele Soavi non è uno dei pochi registi italiani che sconfessa se stesso, come ha scritto qualcuno - riferendosi al passaggio horror-fiction - ma è prima di tutto un artista che ha celebrato l'horror italiano, andando a ricercare le regole strettissime che si imponevano a quei registi, e una volta che ne ha carpito i segreti si è unito al mucchio, girando le sue prime pellicole del terrore, poi è passato alla narrazione di altri orrori: tragedie sociali e storie di mafia all'interno delle fiction di stampo classico.





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